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Che fine ha fatto il coronavirus?

l’evoluzione del coronavirus che fine ha fatto

A febbraio, forse a gennaio, qualcuno dice a dicembre, si è insinuato silenziosamente nel nostro tessuto sociale contagiando migliaia di persone senza dichiararsi ufficialmente.

evoluzione del coronavirus che fine ha fatto

Si è mascherato da polmonite influenzale ingannando il sistema sanitario più avanzato del nostro Paese per poi, improvvisamente, divampare e colpire.

Poi, come una fiamma portata dal vento colpire gli altri paesi, attraversare gli oceani e colpire ancora, con la stessa strategia. L’unica arma efficace è stata l’arma meno tecnologica, quella usata dai nostri antenati: la quarantena. L’interruzione dell’indice di trasmissione con il distanziamento sociale e l’isolamento dei focolai ha portato alla situazione attuale di basso contagio, momento in cui stiamo per riaprire i confini delle regioni e degli stati, con un certo timore di un contagio di ritorno.

Eppure qualcosa è cambiato nel rapporto virus-uomo. I nuovi contagi ci sono, seppur in maniera inferiore, ma quasi sempre sono asintomatici o con sintomatologia che non richiede ricovero ospedaliero. La chiusura del post-Covid di Cisternino e Fasano del 30 maggio, con largo anticipo rispetto alla fine dello stato di emergenza del 31 luglio, è il segnale locale più importante del crollo dei ricoveri. Il Perrino sta tornando all’attività ordinaria con una decina di pazienti ancora ricoverati in malattie infettive. Lo stesso per il Policlinico di Bari e così via. Addirittura vi sono problemi nel reclutare ammalati per testare i farmaci come da studi in corso e, addirittura, per valutare i vaccini in corso di sperimentazione.

Due mesi fa invece avevamo enormi problemi a trovare respiratori, barelle e ambulanze per il gran numero di ammalati severi.

   – Il caldo indebolisce il virus?

Possibile, ma le valutazioni degli esperti sono discordanti. Per comprendere il fattore caldo, che vale anche per le epidemie influenzali e dei virus respiratori in genere, vorrei ricordare che il caldo non agisce all’interno dei tessuti umani dove la temperatura è sempre di 37 °C (tranne che negli episodi febbrili che può raggiungere i 40) ma nell’ambiente esterno, riducendo eventualmente la sopravvivenza virale nelle aree esposte al sole. Probabilmente il fattore più importante è la vita all’aria aperta che riduce drasticamente la carica virale ambientale, oltre alle prime linee di difesa respiratorie che non sono indebolite dagli sbalzi termici e dal raffreddamento.   

   – Il virus sta cambiando?

Anche su questo ci sono tantissimi lavori in corso e pareri discordanti. Fino a pochi giorni si confermava l’assenza di mutazioni, ma recentissimi lavori evidenziano qualche modifica. Siamo ancora in alto mare perché l’identificazione delle mutazioni non è facilmente associabile alle modifiche della virulenza.

   – I farmaci hanno permesso questo miglioramento del quadro clinico?

Qui la risposta è più netta: NO. Dopo settimane di alti e bassi, di sperimentazioni dirette sui malati, di test con farmaci vari tirati fuori dal cassetto, possiamo affermare che i farmaci antivirali non funzionano, come già accade per l’influenza. A cominciare dalla “idrossiclorochina” con  l’autorizzazione sospesa da qualche giorno.

  – L’osservazione clinica attuale evidenzia, nei soggetti sintomatici, una localizzazione del virus in prevalenza alle alte vie respiratorie, senza aggredire gli alveoli polmonari, come se la malattia fosse diventata meno aggressiva. Potrebbe dipendere dalla diminuzione della carica virale a causa dell’arrivo dell’estate, delle misure preventive e dell’isolamento dei positivi che spesso mantengono la positività per periodi molto più lunghi del previsto. Si contano forme meno gravi non respiratorie, a dimostrazione che il Covid-19 più che una malattia respiratoria è una sindrome complessa, come anticipammo su queste pagine il 14 aprile scorso. 

–  Resta sempre valida la tesi che nessuna pandemia dura a lungo e il virus può attenuarsi o scomparire senza alcuna spiegazione, proprio come è arrivato. A maggior ragione dobbiamo essere vigili verso un possibile secondo picco, con tutte quelle precauzioni che conosciamo ma che da sole non sono sufficienti: la mascherina quando è richiesta, il lavaggio delle mani e la vaccinazione antinfluenzale in autunno per evitare sovrapposizioni di sintomi che possono creare difficoltà diagnostiche.

La vita all’aria aperta, evitando gli stretti contatti, rimane la nostra arma migliore. 

Cisternino 30 maggio 2020

dott. Giovanni Canzio

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